Comincia a far buio, il fuoco è sempre più evidente, laggiù, verso la club house, proprio davanti al laboratorio di Allan Robertson.
I Robertson sono fra le prime “dinastie golfistiche” degli albori del golf, da più di un secolo sono i produttori delle migliori palline dell’epoca, le featheries, oltre ad eccellentissime mazze.
Allan Robertson è considerato il primo vero professionista del golf, rimodellò in parte l’Old Course e assieme a Tom Morris, di sana pianta, progettarono e seguirono i lavori di un altro osannato links: Carnoustie.
Imbattibile nel gioco, un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1859 all’età di 44 anni, fu deciso di istituire una gara per decidere chi fosse il “Champion golfer of the year”, quella gara si gioca ancora oggi, è l’Open…
Adesso era là, con il suo aiutante e discepolo, Tom Morris, (che sarà poi soprannominato “il vecchio” quando anche il figlio, Tom Morris il giovane, entrerà giovanissimo e di prepotenza nella scena golfistica…) stanno attizzando il fuoco.
E cosa stanno bruciando con tanta perizia, sembrano palle da golf…. ?!?
La pallina, nel golf, è storicamente l’elemento che ha condizionato e imposto cambiamenti a livello di attrezzatura e design dei campi. E che ne ha decretato successo e diffusione.
La leggenda vuole che la prima pallina fosse un sasso tondeggiante, la “rocky”, presto soppiantata dalla “woody” a causa dei danni che provocava ai bastoni rudimentali dell’epoca. Di quando stiamo parlando? Non si sa, non sono mai state trovate woody e tanto meno rocky, e sebbene le woody si siano utilizzate fino all’inizio del XVII secolo si sa che già dal XV secolo si usavano anche palline di cuoio riempite di lana o di capelli, le “hairy”.
La tecnica era conosciuta fin dal tempo dei Romani, un passo avanti rispetto alle woody, che non andavano oltre i 75 metri, ma molto rudimentali e approssimative. Avevano permesso comunque di aumentare gli appassionati, tanto che alla fine del XV secolo, nel 1498, fu possibile fare un ordine collettivo di speciali palline fabbricate in Olanda, erano le “featheries”.
Dall’inizio del ‘600 alcuni ballmakers cominciarono a produrre in loco queste palline fino a diventarne veri maestri. Allan Robertson era fra questi.
Ritagliava un pezzo di pelle di torello o di cavallo secondo un disegno stabilito, che minimizzava le cuciture, all’epoca non c’erano misure standard per le palline, si producevano di grandezze leggermente diverse per variarne il peso, che veniva indicato, in drams (1=3,89gr), sulla pallina.
Si immergeva nell’allume per ammorbidirlo, dopodiché iniziava il certosino lavoro di cucitura, lì stava il valore aggiunto del fabbricante. Queste palline costavano caro, ci si aspettava che fossero ben fatte e durassero….
Lasciava solo un piccolo taglio di un quarto di pollice, da lì passava tutto il guscio quando lo rivoltava per portare le cuciture all’interno per poi riempirlo con piume d’oca o anatra.
Queste piume, quante ne conteneva uno dei cappelli a cilindro in uso all’epoca, venivano bollite per ammorbidirle e pressate all’interno per mezzo di un punteruolo tenuto sotto una spalla. Veniva poi cucita l’apertura e controllata la sfericità, quindi messa ad asciugare.
”The feathers harden and the leather swells”
Il finale di questa poesia del XVIII secolo descrive perfettamente cosa succede nell’asciugatura, la cheratina delle piume tende a ritornare nella forma originale, gonfia, la pelle ammorbidita nell’allume invece si restringe. Il risultato: una pallina molto dura ma anche molto comprimibile all’impatto. Con questa pallina si raggiungevano agilmente le 200 yards e il record di distanza è di un certo Samuel Messieux con 360 yards, nel 1836.
Una volta asciugata veniva verniciata con tre strati di vernice al piombo, normalmente bianca ma anche rossa per l’inverno, pesata e firmata.
La vernice al piombo e le polveri fini inalate durante la riempitura delle palline accorciava sensibilmente l’aspettativa di vita, l’agiatezza economica permetteva l’unico lusso disponibile, il whisky, i più famosi ballmakers dell’epoca non superarono la mezz’età…
Mediamente si facevano da 2 a 4 feathery al giorno, Allan e altri come Gourlay potevano arrivare a 60 e più a settimana.
Il mercato era fiorente, nel 1844 il laboratorio di Robertson onorò ordini per 2456 featheries, la crescita era esponenziale considerando gli anni precedenti: 1021 nel 1840 e 1392 nel ’41.
In più, la perizia con cui Allan utilizzava il cleek, una delle poche mazze con la testa in ferro usate all’epoca, aveva dato il via alla diffusione e allo sviluppo di questo tipo di bastoni, che diventeranno i nostri set di ferri odierni. Nel giro di pochi anni le long nose, grazie anche all’avvento delle nuove palline in gutta, se ne andarono definitivamente in pensione, dopo più di quattro secoli di onorata carriera.
E nelle sempre più diffuse sacche cominciarono a vedersi le hickory clubs, dal nome di ciò che era rimasto in legno, lo shaft.
Ad Allan la prima gutta fu mostrata da un certo Tom Peters nell’aprile del 1848.
L’avevano provata sia lui che Tom Morris, ma proprio Robertson si rivelò il più scettico, probabilmente con intenzione aveva toppato la palla, l’aveva guardata sprezzante mentre rotolava: “Bah, quella cosa non volerà mai….” ma aveva capito che il suo business principale stava per finire. John Gourlay, il ballmaker di Musselburgh , appena provata si era prodigato per vendere al più presto tutte le scorte di feathery a magazzino e si era dedicato da subito alla nuova palla.
Robertson aveva provato in un altro modo…. aveva giurato e fatto giurare a Tom che non avrebbero mai giocato con quella palla, poi avevano battuto il circondario per comprare tutte le gutta in arrivo, i suoi clienti dovevano stare all’oscuro….
Sono proprio palline da golf quelle che bruciano…
Le featheries avevano pregi e difetti, il pregio principale era la distanza raggiungibile e, nonostante la sfericità fosse solo approssimata, nei green dell’epoca funzionava a dovere. Per contro erano soggette ad usura, scuciture e tagli, quando pioveva si inzuppavano d’acqua, bisognava averne una scorta sufficiente per finire il giro.
Costavano carissime, almeno 5 volte il prezzo di una gutta, si utilizzava perciò il “forecaddie”, un ragazzo che veniva mandato avanti, nel punto previsto di arrivo della palla, per non perderla, e che, quando la pallina non veniva colpita bene, veniva avvisato di stare all’erta : “Foooore!!!”.
Anche il modulo di gioco ne risentiva, oltre ai match individuali si giocava a coppie in cui ci si alternava giocando la stessa palla… il greensome.
Adesso, mentre osservano la concorrenza andare in fumo, ancora non lo sanno, ma tra un paio d’anni Tom tradirà il giuramento. Il sodalizio si interromperà e Morris si trasferirà a lavorare al nuovo campo di Prestwick.
Lo stesso Robertson si dovrà convertire alla gutta,la feathery nel giro di una decina d’anni sarà soppiantata completamente.
Si è fatto buio, il fuoco sta per spegnersi.
Dalle sue ceneri nascerà il golf moderno.